Fossano, 30 ottobre 2003
Quando Guido, il fratello di Silvia, mi ha introdotto nella sua villa di Via San Michele, (una piccola oasi che si illumina del fiume Stura e di una verzura quasi di petrarchesca memoria) mi son sentito non in una fredda pinacoteca di quadri, ma in un mondo abitato dalle donne e dalla natura, le due grandi tematiche di una pittrice fossanese che i fossanesi devono conoscere.
Donne, tanti visi di donne, tanti occhi, tanti enigmatici sorrisi, tanti colli per lo più modiglianeschi: uno stesso tema trattato all'infinito, in cento modi diversi, con cento donne diverse, e tutte tratteggiate con colori tenui, curate fino all'inverosimile, con i gialli, i verdi, i rossi, e i blu sfumati quasi per lanciarci un comune messaggio. È la ricerca di questo messaggio che costituisce il segreto di ogni arte e anche quella di Silvia Dogliani: nel suo lievitare di tante donne, così uguali e così diverse l'una dall'altra, su questi sfondi che sanno di maestria pittorica e che ci riportano agli impressionisti e ai postimpressionisti, si matura attraverso gli anni non solo una tecnica, ma un'anima: la tecnica senza anima è il banale di tanta pittura destinata a disperdersi.
Le donne di Silvia con i loro ovali, con i loro capelli, ora sciolti, ora trattenuti fra veli e fiori, tutte gentili, tutte stilnovistiche, inducono a riflettere sul significato di una pittura che nella sua infinita varietà di donne non è mai monotono, perché ogni viso, quasi stilizzato, delicatamente impastato, soffuso di grazia, ci porta a vedere al di là dei colori insieme densi e tenui in cui vibrano le creature silviane. Questo per dire con molta semplicità, ma anche con molta profondità, che gli infiniti volti femminili della Dogliani celano il mistero esistenziale: sono donne che hanno vissuto, sono state immerse nel mondo, hanno sofferto, hanno affrontato triboli e maledizioni,affetti e carezze, così come la vita, specialmente quella delle donne, quelle sensibili che attraversano il tempo, come la montaliana foglia nella tempesta o come la Francesca dantesca, che paga nella purezza del suo sangue il suo amore.
Dietro i volti, dietro le strutture lievi e palpitanti della pittrice fossanese il mondo trascorso si è purificato, è stato assorbito ed è stato delibato, la purezza è stata riconquistata, anche perché forse non è mai mancata lungo le strade fangose del mondo e lungo i gironi danteschi in cui ognuno di noi può ritrovare la sua triste esperienza di vita. Ma le donne della Dogliani possono ora guardare il mondo attraverso i loro volti ovali e quadrati attraverso i loro occhi dalle cento diverse lucentezze in cui il sorriso è appena scalfito dalla malinconia di quel Leopardi che amava così tanto la vita. Anche Silvia l'ha amata la vita e l'ha superata, l'ha racchiusa nel mistero di pastosi personalissimi colori in cui si diluiscono le sue originalissime donne, che son diventate anche carte da gioco nel piccolo e nel grande. Sì, perché la vita può essere un due da picche o un dieci da cuori, e le donne di Silvia passeggiano fra i numeri e come ogni numero esprimono pitagoricamente l'enigmatico sapor della vita, sempre prima e dopo la tempesta. Certo, come in ogni forma d'arte grava sull'artista il peso delle precedenti vicende ed esperienze: ma la tecnica della Dogliani, che pur riecheggia una elaborata modernità è tutta sua; ha il sapore del mai visto, il gusto di una trasparenza in cui si possono leggere le beatitudini evangeliche laicamente trasfigurate nei volti e nei corpi esili e sottili di tante donne tornate al miltoniano eden scomparso. Di riscontro la natura per Silvia è cupa, terragna, scura, di una opacità attraverso cui però si intravede con la sapiente regia, l'immedesimarsi anche qui in una Langa disperata alla Fenoglio, che però mantiene le sue speranze di paternità e di vita. Così ha visto il letterato, e non il critico, la pittura di Silvia, la cui vita e la cui memoria sono state amate con tanto amore da un fratello che nella diffusione e nella conoscenza delle opere di Silvia trova quasi il senso della sua vita: mi si scusi l'ennesima citazione, questa volta desantisiana sulla Laura del Petrarca, che Silvia continua a vivere anche dopo morta.
Beppe MANFREDI