RICORDANDO SILVIA DOGLIANI
Era certamente intorno al 1980 quando incontrai per la prima volta la pittura di Silvia Dogliani, pittrice fossanese, scomparsa poco più di un anno addietro, e debbo dire che rimasi subito interessato per il suo modo interessante e suggestivo di affrontare la pittura e soprattutto il supporto tecnico su cui disporre i colori.
A quei tempi aveva già ripetutamente esposto in Piemonte ed in Liguria, in particolare a Torino, Moncalieri e Borghetto Santo Spirito, ma non aveva mai ritenuto di affrontare il pubblico di casa per quella naturale ritrosia che spesso assale gli artisti in genere per quel non so ché che richiama al concetto del "nemo propheta in patria" di antica memoria.
Eppure fin da allora ero convinto che il suo modo di dipingere avrebbe costituito per i fossanesi una novità piacevole ed interessante.
Era giunta a questa forma espressiva in modo del tutto autodidatta anche se aveva frequentato per qualche tempo lo studio del pittore Livio Pezzato, con qualche assiduità soltanto inizialmente e poi in modo saltuario per un periodo breve, senza però subirne suggestione alcuna neppure nel modo di utilizzare i supporti tecnici.
"L'arte è una continua ricerca" amava ripetere la pittrice ed a questo assunto continuò a restare fedele in tutti gli anni in cui si dedicò alla pittura, che la sua repentina scomparsa ha prematuramente troncato; aveva anche una sua interpretazione del modo di far pittura intendendo lo come un "incidere messaggi sulle uniformi pareti dei luoghi in cui ci raccogliamo a rinnovare antichi coraggi…".
Ho voluto riportare queste sue affermazioni che avevo raccolto in occasione di un colloquio in quell'ormai lontano 1980 allorché mi accinsi a scrivere una presentazione per il catalogo della sua mostra fossanese di quell'anno e questo anche per dare subito una spiegazione del suo primo momento di ricerca che si avvaleva di un supporto in cui la sabbia aveva parte dominante e sulla quale veniva poi stendendo i colori a costruire il soggetto.
Credo che per meglio capire quella sua espressività fosse necessario indagare quali fossero le esperienze artistiche che più l'avevano interessata, lasciando un segno magari a livello inconscio ed era, mi sembrava giusto, da cogliere in quel crogiolo di fermenti ed innovazioni che attraversarono le lezioni postimpressioniste ed espressioniste, con il successivo entusiasmo di "fauves" e di "jugendstil". Scrivevo allora che "la lezione di Seurat e di Signac, di Matisse e di Valloton, di Bonnard e di Vuillard, di Marquet e di Dèrain, come di Schmidt-Rottlulf e di Nolde, di Pascin e di Hodler e Fautrier non è passata invano, e sul modo di dipingere di Silvia Dogliani ha lasciato soltanto suggestioni, sia pur indirette".
È un giudizio che ritengo ancora esatto anche se in momenti successivi la pittrice, fedele al suo assunto di ricerca continua, ha investigato a mio parere altre esperienze, come ho avuto modo di scrivere in alcune occasioni e precisamente per la sua mostra ad Alba alla galleria "Il bandolo due" ed a Fossano per "Fossan' arte" 2001.
Dopo il 1980 Silvia Dogliani non aveva mai più esposto a Fossano ma non si contano le località in cui ha presentato le sue opere in mostra, da Torino a Salsomaggiore, da Alba a Chieri, da Saluzzo a Milano,da Cuneo a Milano,da Pescara a New York, da Barolo a Torre Canadese, da Modena a Sanremo, da Varese a La Spezia e ad altre località ancora.
Si erano fatte quindi più rade le occasioni di incontrare la sua pittura e cosi di seguire l'evolversi della sua ricerca che, come ella stessa affermava, ha conosciuto tre momenti distinti e successivi, tra loro apparentemente diversi ma in realtà assai coerenti tra loro.
Cosi dopo il primo momento in cui il supporto era la tela trattata con uno strato di sabbia su cui appoggiare il colore, era venuto un secondo momento in cui era soprattutto la pergamena il supporto utilizzato per appoggiarvi il colore ad olio sempre assai liquefatto da apparire quasi una tempera e diventava la figura che la pittrice accostava con un taglio che collocava ognuna di esse in una atmosfera sognata e si sarebbe detto che la pittrice avesse guardato alle esperienze della pittura precolombiana o delle scuole di Guler e di Kangra nel Panjab mentre in realtà queste fonti non sono mai state ispiratrici della sua espressività ma semplicemente appartenevano al suo bagaglio culturale mentre più vicine e recenti erano le suggestioni che guidavano il suo pennello.
Ci avrebbe certo mostrato altri momenti espressivi di indubbio interesse se la repentina scomparsa non avesse troncato la sua esperienza.
Carlo Morra