Integrata da eventi collaterali che spazieranno dalla musica alla lettura delle poesie composte dalla compianta pittrice di fama internazionale Istituzioni pubbliche e private, su iniziativa dell’Associazione d’Arte e Cultura intitolata alla stessa, permetteranno di inaugurare una corposa quanto selezionata postuma dedicata ad una delle pittrici più note della nostra provincia. Evento clou, oltre naturalmente all’esposizione dei massimi capolavori prodotti in tanti anni di ricerca, sarà la lettura delle poesie e dei pensieri composti dalla Dogliani da parte del noto attore Andrea Giordana che, con grande piacere, ha accettato di presenziare per l’evento e di interpretare, con la solita nota bravura, gli scritti della pittrice.
Una pittrice che ha sempre fatto dell’Arte una propria ragione di esistere; una ragione che l’ha accompagnata per quasi trent’anni e che, a dispetto di insensibilità ed indifferenza di molti che si ritenevano “detentori dello scibile”, ha fissato nel tempo il proprio spirito e l’ha condotta ad ottenere notevoli riconoscimenti personali quando era in vita e, col solito senno di poi, anche e di più dopo la precoce scomparsa. E questo perché il suo lavoro si è sempre collocato in una ineguagliabile dimensione: una dimensione forte come la sua personalità particolarmente determinata e conscia delle proprie intrinseche possibilità, forte come il messaggio universale dei curati lavori, atto certo a recuperare il decadentismo ideologico e culturale implicito ormai in una società “tarata” dai media, stereotipata, incapace di vedere la cosmicità di certa arte e che veleggia da gregge verso “templi” di cultura solo perché condizionata dalle mode. Mode che conducono ad adulare artisti di scarso spessore, ma con grandi conoscenze alle spalle, specie quelle che portano acqua al mulino della mercificazione.
La posizione di Silvia si è sempre collocata al di fuori di questi schemi e si è evoluta come un corpo celeste infinitamente piccolo rispetto agli altri circostanti, ma capace di produrre una forza energetica sensitiva e sensibile talmente grande da riuscire a cogliere il significato dell’universo e sintetizzarlo in segni, in forme, in colori, in gesti, in strutture, in parole. La ricerca del passato, delle origini. Il grido di speranza di ritrovare le tracce, le radici di un istinto d’artista che riteneva l’individuo avesse confuso o forse perduto.
La sua idea va compresa nel fatto che l’opera d’arte produce comunque un’immagine di forme, trasmette emozioni quali la speranza, la gioia, la tristezza, il mistero, la magia. L’arte dunque è stata vissuta da Silvia come travaglio esistenziale dalla duplice connotazione, dove l’uomo carica sulle proprie spalle il fardello dell’individuo per logorare ogni resistenza della specie nei confronti dell’essere ed esprimere, attraverso il disagio della carne, l’ancor più grave fatica di consonare con il mistero del cosmo e dell’eterno. Perché davanti al pathos che emana un’opera d’arte la mente, per Silvia, non poteva svelare l’arcano che solo una certa spiritualità avverte.
Così ha proceduto con messaggi quasi sacrali, magici, che riportano all’ancestralità negroide o assira di un Klee mediterraneizzato, ai colori bizantini, alla scansione da icona, con i bordi di colore netto, alla squadratura all’esistere del segnale bidimensionale immerso in una rarefazione totale della dialettica storica. O, ancora, che utilizza il colore nero come assenza di conflitto, come caos ignoto, da cui emergono mutevoli presenze morandiane, ricordi kandinskijani, bellamente scanditi e allegri, matrici surreali di esseri dai grandi occhi innocenti. Il tutto sottolineato dal lirismo della tecnica mista, delle raffinate tonalità accattivanti, nel segno della donna – natura – maschera; il segno di un passaggio umano, un’orma fissata per iterazioni ossessive e leggere. Certo richiede cultura e pazienza di osservazione questo inesauribile attingere dal pozzo del tempo senza tempo, questo inoltrarsi in una bidimensionalità che è tutta un filone; dalle schiere egizie e modiglianesche di colli femminili, morbidi e allungati, ai ritardi bizantini del Sud italiano. Teorie di volti sereni – segno – colore, come una proiezione di quelle nostalgie mitico-deistiche di cui molti hanno spesso parlato e che, in ultimo, ha evocato con maggiore lirismo.
Il suo ideale – e non è inutile sottolinearlo ancora una volta – è stata la ricerca continua ed assillante dei problemi dell’arte che la moderna realtà di segno e cultura ci impongono e che Ella ha risolto cogliendo le varianti della amata natura, la straordinaria potenza comunicativa, la non comune capacità di interpretazione ed un filo di sottile rassegnazione nei confronti di una società più dedita ad occulte persuasioni gastronomico-cosumistiche che al rafforzamento dello spirito e dell’anima. E nell’opera di Silvia possiamo ritrovare quella Spiritualità, quella Serenità e quel senso di Umanità che paiono essere affogati nella notte dei tempi.