SILVIA DOGLIANI:
LA PITTURA DELL'UNIVERSALE CHE NON DEVE MORIRE
"Silvia Dogliani - ebbi modo di dire in una recensione postuma alla sua scomparsa - ha sempre fatto dell' Arte una propria ragione di esistere; una ragione che l' ha accompagnata per quasi trent'anni e che, a dispetto di insensibilità ed indifferenze di molti che si ritenevano "detentori dello scibile", ha fissato nel tempo il Suo spirito e l'ha condotta ad ottenere notevoli riconoscimenti personali quando era in vita e, col solito senno di poi, anche e di più dopo la Sua scomparsa". Ora credo però sia giunto il momento di collocare il lavoro di questa ineguagliabile artista in una dimensione superiore, una dimensione che la "riporti in vita", tramite la divulgazione delle sue opere, non solo riducendo il tutto ad omaggi Istituzionali o a classiche operazioni di mercato, ma attraverso un messaggio più forte. Forte come quello della sua personalità particolarmente determinata e conscia delle proprie intrinseche possibilità, forte come il messaggio universale dei suoi lavori, atto certo a recuperare il decadentismo ideologico e culturale implicito ormai in una società "tarata" dai media, stereotipata, incapace di vedere la cosmicità di certa arte e che veleggia da gregge verso "templi" di cultura solo perché condizionata dalle mode. Mode che conducono ad adulare artisti di scarso spessore ma con grandi conoscenze alle spalle, specie quelli che portano acqua al mulino della mercificazione. È questa una querelle oziosa e, spesso, limitativa sia del significato dell'opera di un artista sia del grande concetto di arte che dovrebbe essere universale.
Paolo Uccello, Paul Klee, Duccio di Buoninsegna, Kandinsky, Piero della Francesca, i Futuristi, e ancora, Michelangelo, Mies, Kahn, e Frank Lloyd Wrighit, sebbene appartenenti a stili e periodi storici diversi, in realtà poi non lo sono stati affatto nei contenuti; ed è per questo che ritengo non giusto attribuire l'autenticità dell'opera d'arte solo a tendenze, a gruppi di potere o a definizioni letterarie, come oggi spesso avviene. Avere la possibilità di esprimere emozioni e sollecitare suggestioni reali, fantastiche; stimolare l'immaginario (individuale o collettivo); spaziare in ogni direzione nell'etereo e fluttuante mondo del sogno, viaggiando sempre avventurosamente senza perderlo e tuttavia senza temere di valicare l'esile discrimine tra realtà e irrealtà delle cose e a queste dare forme e immagini e non-forme; tutto questo è ancora il concetto di fare arte. Il concetto che sempre è stato di Silvia Dogliani. Un fenomeno che vive dentro e fuori del tempo, al di là del definito delle cose reali ed irreali trovando in ciò la ragione ultima di tutto il fascino della sacralità. E l'uomo non è solo lo strumento che produce. La grande (innaturale) sensibilità, il metodo di realizzazione, la capacità di cogliere le sensazioni della vita temporale, cosmica e acosmica, sono elementi che possono concorrere alla produzione di un'opera d'arte; gli elementi intrinseci in Silvia. Partendo da questa accezione è naturale e spontaneo ritenere che il fatto che l'autentico valore artistico di un'opera si raggiunga, o possa essere raggiunto, solo quando il pensiero energetico e creativo di un artista risulta libero da ogni forma di condizionamento derivante da consumi, da mode sociali o da forme di aggregazione che molto spesso sono speculazioni materiali dell'uomo. L'arte nasce il più delle volte in solitudine e la riflessione da cui matura porta necessariamente ad una sorta di isolamento, che pone l'artista stesso fuori dai limiti del tempo reale producendo in lui dei traumi, delle crisi violentissime che solo in parte si verificano in opere d'arte. La posizione di Silvia si è sempre collocata all'interno di queste riflessioni: una posizione paragonabile ad un corpo celeste infinitamente piccolo rispetto agli altri circostanti, tuttavia capace di produrre una forza energetica sensitiva e sensibile talmente grande da riuscire a cogliere il significato dell'universo e sintetizzato in segni, in forme, in colori, in gesti, in strutture, in parole. La ricerca del passato, delle origini. Il grido di speranza di ritrovare le tracce, le radici di un istinto d'artista che riteneva l'individuo avesse confuso o forse perduto. La sua idea va compresa nel fatto che l'opera d'arte produce comunque un'immagine di forme, trasmette emozioni quali la speranza, la gioia, la tristezza, il mistero, la magia. L'arte dunque è stata vissuta da Silvia come travaglio esistenziale dalla duplice connotazione, dove l'uomo carica sulle proprie spalle il fardello dell'individuo per logorare ogni resistenza della specie nei confronti dell'essere ed esprimere, attraverso il disagio della carne, l'ancor più grave fatica di consonare con il mistero del cosmo e dell'eterno. E allora le convulsioni dello spirito, avvertito sempre come incapace di svellere le catene del reale, in una lotta impari contro i limiti della sua condizione, lacerano il corpo in una continua ansia di ricerca di quella dimensione che si reifica nei gesti e nelle cose. Affanno e anelito, anelito e affanno, così di seguito in una danza altalenante che conduceva l'artista, dopo il lungo travaglio, alla suprema gioia che in Lei durava il breve spazio di un fuggevole attimo e che precedeva l'avvio di un'ennesima teoria di sofferenze. Davanti al pathos che emana un'opera d'arte la mente, per Silvia, non poteva quindi svelare l'arcano che solo una certa spiritualità avverte. Da queste considerazioni pertanto, come si diceva in apertura, il dovere di dare la giusta collocazione ad una pittrice, ad una donna di cultura come la Dogliani, permettendo a tutti di ammirare liberamente le sue opere per coglierne la bellezza e, soprattutto, per interiorizzarne il messaggio. “Un messaggio - consideravo ancora in quella recensione - quasi sacrale, magico che riporta all'ancestralità negroide o assira o di un Klee mediterraneizzato, ai colori bizantini, alla scansione da icona, con i bordi di colore netto, alla squadratura, all'esistere del segnale bidimensionale immerso in una rarefazione totale della dialettica storica. O, ancora, che utilizza il colore nero come assenza di conflitto, come caos ignoto, da cui emergono mutevoli presenze morandiane, ricordi kandinskijani, bellamente scanditi e allegri, matrici surreali di esseri dai grandi occhi innocenti. Il tutto sottolineato dal lirismo della tecnica mista, dalle raffinate tonalità accattivanti, nel segno della donna - natura - maschera; il segno di un passaggio umano, un' orma fissata per iterazioni ossessive e leggere. Certo richiede cultura e pazienza di osservazione questo inesauribile attingere dal pozzo del tempo senza tempo, questo inoltrarsi in una bidimensionalità che è tutta un filone; dalle schiere egizie e modiglianesche di colli femminili, morbidi ed allungati, ai ritardi bizantini del Sud italiano. Teorie di volti sereni segno - colore, come una proiezione di quelle nostalgie mitico - deistiche di cui molti hanno spesso parlato e che, in ultimo, ha evocato con maggiore lirismo. Il suo ideale - e non è inutile il sottolinearlo ancora una volta - è stata la ricerca continua ed assillante dei problemi dell'arte che la moderna realtà di segno e cultura ci impongono e che ella ha risolto cogliendo le varianti della amata natura, la straordinaria potenza comunicativa, la non comune capacità di interpretazione ed un filo di sottile rassegnazione nei confronti di una società più dedita ad occulte persuasioni gastronomico - consumistiche che al rafforzamento dello spirito e dell'anima". Quello Spirito e quell'Anima che potrebbero prorompere da una sorta di "Museo" (Ecco questa sarebbe l'idea per una giusta collocazione dell'opera di Silvia Dogliani!) che si potrebbe creare sfruttando antiche ed inutilizzate strutture della nostra Provincia, ma anche di altre Realtà nazionali, riportando sulle pareti o sulle cupole affreschi, tele o pitture murali dei suoi lavori. Certamente ne verrebbe un ritorno non indifferente per tutto il Territorio, sarebbe un altro modo per far conoscere le varie bellezze architettoniche ora dimenticate, ma soprattutto sarebbe l'input per dare, a questa società ammalata di consumismo, una vera chance al fine di recuperare, tramite la libera e continua visione dell'opera di Silvia, quella Spiritualità, quella Serenità e quel senso di Umanità che paiono essere affogati nella notte dei tempi.
Giorgio Barberis